IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza, con atto di ricorso depositato nella cancelleria di questo Ufficio in data 19 maggio 2011, procedimento iscritto al n. 62248/2011 R.A.Cont., il dott. Franco Guidoni, giudice di pace presso l'Ufficio di Verona, difeso dall'Avv. Luciano Bonomo del foro di Verona e dall'Avv. Carlo Innocenzo Frugoni del foro di Roma, elett. dom/to presso lo Studio legale di quest'ultimo in Roma, Viale Mazzini n. 120, ha chiesto al giudice di pace di Roma l'emissione di decreto ingiuntivo per la somma complessiva di € 4.381,79, oltre interessi legali dalle scadenze al saldo, oltre alle spese legali, il tutto entro e non oltre la competenza per valore del giudice adito, per l'indebita decurtazione parziale negli anni 2003 - 2011 dell'indennita' forfettaria mensile di € 258,23, prevista, "a titolo di rimborso spese per l'attivita' di formazione, aggiornamento e per l'espletamento dei servizi generali di istituto" da parte del giudice di pace, dall'articolo 11, comma 3 della legge n. 374 del 21 novembre 1991 e successive modificazioni. Per consolidata ed univoca giurisprudenza della cassazione (vedasi sezioni unite n. 11272/1998, sezione lavoro nn. 1189/1999, 1202/1999, altre sezioni nn. 5523/2004, 12026/2004, 9155/2005, 10611/2005 - non si rinvengono pronunce contrarie), in materia di indennita' spettanti al giudice di pace, come previste dal richiamato articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991 e successive modificazioni, il giudice competente a dirimere ogni correlata questione e controversia e' quello individuato dalla legge secondo il criterio generale del valore della causa. "La competenza per le cause aventi ad oggetto il trattamento economico indennitario spettante ai funzionari onorari - non legati all'ente pubblico da un rapporto professionale di servizio e qualificabili come organi dello stesso ente - va determinata (nel caso in cui, in relazione alla posizione giuridica fatta valere, sussista la giurisdizione del giudice ordinario) in base al valore della causa, poiche' non sussistono gli elementi della figura giuridica della parasubordinazione delineata dall'art. 409 n. 3 cod. proc. civ. (Fattispecie relativa alla rivendicazione dell'indennita' cosiddetta giudiziaria da parte di giudici di pace)" (Cass. ss.uu. n. 11272/1998). Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, l'orientamento costante ed univoco della Suprema Corte di Cassazione, anche a sezioni unite, nella sua inalienabile funzione nomofilattica, integra vero e proprio diritto vivente, con relativa ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale di una norma di legge come interpretata dalla giurisprudenza di Cassazione, la quale non lasci al giudice di merito margine alcuno di apprezzamento discrezionale. L'articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991, come univocamente interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione, pone questioni rilevanti e non manifestamente infondate di legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3, commi 1 e 2, 4, comma 1, 25, comma 1, 35, comma 1, 97, comma 3, e 106, commi 1 e 2, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice competente per materia a dirimere ogni controversia sulle spettanze economiche del giudice di pace ivi previste e' il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro. Rilevanza delle questioni Le questioni sono rilevanti per la definizione del procedimento in oggetto; la pronuncia della Corte costituzionale, infatti, produrra' effetti decisivi in ordine alla questione pregiudiziale sulla competenza del giudice adito, nonche' sul merito: a) in caso di declaratoria di inammissibilita' o infondatezza della questione, il giudice rimettente si dichiarera' competente per valore ai sensi del combinato disposto degli articoli 7, comma 1 e 14, comma 1, c.p.c., nonche' per territorio, ai sensi dell'articolo 25 c.p.c., dovendo l'obbligazione essere eseguita, ai sensi del regio decreto n. 2440 del 18 novembre 1923 e successive modifiche, nel luogo in cui si trovano gli uffici amministrativi centrali dello Stato competenti ad autorizzare il pagamento, ed emettera' il decreto ingiuntivo, evidenziando l'allegata documentazione - attestazione del direttore amministrativo dell'Ufficio del giudice di pace di Verona delle indennita' forfettarie mensili corrisposte negli anni di riferimento 2003/2011 - la decurtazione parziale o totale in alcuni mesi dell'indennita' in oggetto senza che emerga dagli atti alcun legittimo motivo che ne giustifichi l'omessa corresponsione integrale, con specifico riferimento ai requisiti previsti dall'articolo 11, comma 3, della legge n. 374 del 21 novembre 1991; b) nel caso, al contrario, di declaratoria di incostituzionalita' parziale della disposizione in oggetto, nel senso sopra specificato, per uno o piu' dei profili di dubbia costituzionalita' di seguito esplicati, il giudice rimettente dovra' dichiararsi funzionalmente incompetente, con relativo onere del ricorrente di ripresentare l'istanza dinanzi al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro territorialmente competente. Impossibilita' di interpretazione della legge in senso costituzionalmente orientato. La richiamata giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione preclude al giudice rimettente la possibilita' di un'interpretazione diversa e costituzionalmente orientata della norma in oggetto, escludendo categoricamente la configurabilita' in capo al giudice di pace, contemporaneamente ricompreso nell'ampia categoria dei funzionari onorari ed in quella piu' circoscritta dei giudici onorari, non solo di un rapporto di pubblico impiego, ma anche di un diverso e/o atipico rapporto di subordinazione o parasubordinazione, anche solo in via di fatto (rilevante in materia giuslavoristica). La categoricita' della giurisprudenza univoca della cassazione non consente al giudice rimettente alcun margine di discrezionalita' nella valutazione della natura giuridica del rapporto di servizio del giudice di pace, giammai assimilabile ad un rapporto di lavoro, subordinato o parasubordinato, in ragione della pregiudiziale invalicabile dell'onorarieta' della funzione, ritenuta, conclusivamente, dalla cassazione preclusiva di qualsiasi diversa qualificazione giuridica del rapporto ("La figura del funzionario onorario, che ha carattere residuale rispetto a quella del pubblico dipendente senza che pertanto possa ipotizzarsi un "tertium genus" neppure sotto il profilo della parasubordinazione, si configura ogni qualvolta esista un rapporto di servizio con attribuzione di funzioni pubbliche ma manchino gli elementi caratterizzanti dell'impiego pubblico"; Cass. ss.uu. n. 3129/1997). Non manifesta infondatezza delle questioni 1. Violazione dell'articolo 3, commi I e 2, della Costituzione. La disposizione in oggetto (articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991), come univocamente interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione, nel denegare che il rapporto di servizio onorario del giudice di pace (comma 1), il quale da' origine ai correlati rapporti obbligatori di natura pecuniaria ivi previsti (commi 2 e seguenti), integri un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, cosi' escludendo il giudice di pace dalle garanzie processuali e sostanziali previste dal diritto del lavoro, in attuazione di inviolabili precetti costituzionali (articoli 4 e 35 ss. della Costituzione) si pone in violazione con il principio di ragionevolezza sul quale si fonda l'articolo 3 della Costituzione: in tanto e' ammissibile una diversa regolamentazione legislativa dello status giuridico, con particolare riferimento alle garanzie processuali e sostanziali dei diritti patrimoniali da esso nascenti, di un funzionario pubblico il quale, pur formalmente qualificato dalla legge come "onorario", sia assoggettato, al pari di qualsiasi altro funzionario dello Stato, ai tipici vincoli di subordinazione che caratterizzano il rapporto di pubblico impiego (assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare dei superiori gerarchici), in quanto tale anomalo status giuridico sia ragionevolmente compatibile con il principio di eguaglianza solennemente sancito dall'articolo 3 della Costituzione, ovvero con l'esigenza di rimozione degli ostacoli di natura sociale od economica che limitano di fatto la liberta' ed uguaglianza dei cittadini. 1.1. Le figure tipiche di funzionario onorario previste nella Costituzione e nell'ordinamento giuridico in generale. E' ragionevolmente compatibile con i criteri tassativi individuati dall'articolo 3 della Costituzione una diversa disciplina, rispetto al rapporto di pubblico impiego, del rapporto di servizio pubblico tipicamente onorario, ossia caratterizzato dagli elementi tipici dell'assenza di un concorso pubblico e della carenza di vincoli di subordinazione nei confronti di soggetti terzi (potere di autodeterminazione ed autodisciplina). In tal senso sono funzionari onorari tipici le piu' alte cariche dello Stato, quali il Presidente della Repubblica, i giudici della Corte costituzionale, i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, i Parlamentari, i Ministri ed i Sottosegretari, sino ad arrivare agli incarichi per nomina politica, in quanto tale non sindacabile dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale, riservata al Potere Esecutivo; le persone fisiche che ricoprono tali funzioni sono investiti della potesta' pubblica per elezione diretta del popolo (i Parlamentari) o per elezione "mediata" da parte di predeterminate categorie di funzionari pubblici, per lo piu' individuate da specifiche norme costituzionali, che rappresentano i poteri fondamentali dello Stato, senza che la loro nomina possa, di regola, essere sindacata nel merito dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale. Al di fuori delle specifiche disposizioni previste dalla Costituzione, la legge deve sempre garantire che l'organizzazione e la disciplina, ai fini del corretto funzionamento degli organi istituzionali ai quali i predetti funzionari sono preposti, siano espressione del loro potere di autogoverno, in attuazione del principio fondamentale di separazione ed indipendenza di tutti i Poteri fondamentali dello Stato, previo riconoscimento di esclusive potesta' regolamentari interne ed istituzione di autonomi organi di autodisciplina, composti da funzionari pubblici nominati all'interno dello stesso Corpo di appartenenza. Non essendo tali categorie di funzionari onorari in alcun modo assimilabili ai pubblici impiegati, ne discende la ragionevolezza delle disposizioni di legge che prevedono che le controversie sui compensi economici loro spettanti siano rimesse all'autorita' giudiziaria individuata secondo gli ordinari criteri di competenza per valore, esclusa la competenza funzionale del Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. 1.2. Il magistrato ordinario di carriera. Nell'ambito dei vari Ordini di pubblici funzionari investiti delle piu' alte cariche dello Stato, una delle poche figure non elevabile al rango di funzionario onorario e' rappresentata, conformemente al dettato costituzionale (articolo 106, comma 1, Costituzione), dai magistrati ordinari di carriera, i quali, sotto il profilo funzionale, sono tutti investiti della potesta' giurisdizionale piena (ossia di uno dei tre poteri supremi dello Stato), senza vincoli di sudditanza. Diversa e', tuttavia, la condizione giuridica dei magistrati di carriera sotto il profilo economico, organizzativo e disciplinare, pur nell'ambito di un sistema ordinamentale ampiamente garantista che mira a preservare l'indipendenza della funzione mediante un sistema di parziale autogoverno degli organi preposti all'organizzazione degli uffici ed alla persecuzione degli illeciti disciplinari (il Consiglio Superiore della Magistratura e' composto, per due terzi, da magistrati di carriera); in tal senso, i magistrati di carriera sono assimilati dalla legge, sotto il profilo dello status economico e previdenziale, ai pubblici impiegati, caratterizzandosi, anche sotto il profilo dell'organizzazione del lavoro e dei poteri disciplinari del C.S.M., dal vincolo di subordinazione, ossia da precisi doveri di Osservanza delle tabelle di composizione degli Uffici di appartenenza (le quali prestabiliscono le date e gli orari delle udienze ed i criteri di individuazione degli affari civili o penali ai quali ciascun singolo giudice e' preposto), degli ordini di servizio del Capo dell'Ufficio, dei provvedimenti organizzativi generali del Consiglio Superiore della Magistratura, su parere dei Consigli Giudiziari, della reperibilita' costante, salvo giustificato impedimento, nonche' da precisi doveri di Osservanza di tutte le regole professionali e deontologiche desumibili dall'ordinamento giudiziario e dal decreto legislativo di tipizzazione degli illeciti disciplinari (produttivita', laboriosita', diligenza, correttezza, stile di vita consono all'alta funzione svolta.). Ne discende la piena ragionevolezza dell'assimilazione al pubblico impiego del rapporto di servizio del magistrato di carriera, considerato il suo penetrante assoggettamento, sotto il profilo organizzativo e disciplinare, al potere direttivo degli alti organi della Magistratura a cio' preposti (Capi degli Uffici, Consigli Giudiziari, Consiglio Superiore della Magistratura), con un'organizzazione degli uffici di natura strettamente gerarchica. 1.3. Non assimilabilita' del giudice di pace al funzionario onorario - assimilabilita' del giudice di pace al magistrato di carriera. La figura del giudice di pace, pur essendo dalla legge ricompresa nell'ambito dei rapporti pubblici di servizio onorario (articoli 1, comma 2 ed 11, comma 1, legge n. 374 del 21 novembre 1991), si caratterizza per delle peculiarita' sue esclusive, che non hanno alcun punto di contatto con le figure tipiche ed atipiche di funzionari onorari previste nel nostro ordinamento giuridico, ivi comprese le altre categorie di giudici onorari, connotandosi, al contrario, per le sue incontrovertibili similitudini con la figura del magistrato di carriera sotto il profilo dei doveri d'ufficio e deontologici (tipici parametri di valutazione della natura subordinata del rapporto), sostanzialmente identici, differenziandosi solo per l'esclusione dai diritti costituzionali fondamentali di autogoverno (i giudici di pace sono esclusi dal C.S.M., malgrado l'espressa previsione dell'articolo 104 della Costituzione), di progressione di carriera, di stabilita' del rapporto e di tutela previdenziale ed assistenziale. I) Il giudice di pace e' un giudice ordinario (articolo I dell'ordinamento giudiziario) titolare dell'Ufficio Giudiziario di appartenenza (articolo 1, comma 2, legge n. 374 del 21 novembre 1991), al pari del magistrato di carriera. II) A differenza degli altri magistrati onorari, ed al pari dei magistrati di carriera, i giudici di pace, quali titolari di autonome attribuzioni giurisdizionali, sono incardinati all'interno dell'ordinamento giudiziario e distribuiti nel territorio sulla base di piante organiche predeterminate dalla legge e dai provvedimenti amministrativi attuativi. III) "Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari" (articolo 10, comma 1, legge n. 374 del 21 novembre 1991). IV) Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza delle tabelle di composizione dell'ufficio di appartenenza, al pari del magistrato di camera, con applicabilita' diretta dell'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario (da ultimo, circolare del C.S.M. n. P/25967 del 28 ottobre 2008 "relativa alla formazione delle tabelle di composizione degli uffici del giudice di pace per il triennio 2009/2011"). V) Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza degli ordini di servizio del Capo dell'Ufficio (il giudice di pace coordinatore ai sensi dell'articolo 15, comma 2, legge n. 374 del 21 novembre 1991 - vedasi anche delibere del C.S.M. del 10 aprile 1996 e del 23 aprile 1997 in risposta a quesiti, e circolare del C.S.M. n. P/15880/2002 del 1° agosto 2002 e successive modifiche - "il ruolo dei coordinatori, soprattutto negli uffici di medie e grandi dimensioni, presenta caratteristiche analoghe a quelle dei dirigenti degli uffici", capo XIV, paragrafo 1, quarto capoverso; "Il giudice di pace nominato coordinatore assume, a tutti gli effetti, le funzioni di capo dell'ufficio", capo XIV, paragrafo 1, primo capoverso), al pari del magistrato di carriera. VI) Il giudice di pace e' assoggettato alla sorveglianza del Presidente del Tribunale (articolo 16, legge n. 374 del 21 novembre 1991, circolare del C.S.M. n. 8029 del 27 maggio 1995), il quale, di fatto, ha poteri di direzione e controllo su tutti giudici ordinari, di pace e di carriera, del suo circondario ("(omissis) l'individuazione del Presidente di Tribunale come punto di riferimento di una sorveglianza estesa anche alla organizzazione degli uffici di giudice di pace del circondario"; delibera del C.S.M. del 16 luglio 2009). VII) Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del Consiglio Superiore della Magistratura, su parere del Consiglio Giudiziario (articoli 10, comma 1 e 15, comma 1, lett. e), decreto legislativo n. 25 del 27 gennaio 2006 e successive modifiche), al pari dei magistrati di carriera. VIII) Senza trascurare i penetranti poteri organizzativi previsti dalla legge in capo al Ministero della Giustizia, con effetti immediati sul lavoro dei giudici di pace (potere di accorpamento di sedi e di istituzione di sedi distaccate - articolo 2 della legge n. 374 del 21 novembre 1991 -; potere di revisione delle piante organiche degli uffici -articoli 3 e I 0-ter, comma 2, della legge n. 374 del 21 novembre 1991), oltre alle piu' generali potesta' interpretative ed applicative del Ministero, in particolare in materia di prestazioni economiche, unilateralmente suscettibili di incidere immediatamente sul reddito del giudice di pace a mezzo di circolari o anche di semplici note. IX) Il giudice di pace e' tenuto a garantire la propria costante reperibilita' (rapporto di servizio a tempo pieno), al pari del magistrato di carriera. "I giudici di pace sono infatti in servizio non soltanto quando svolgono le attivita' da ultimo descritte, ma in ogni momento, dovendo essi, al pari dei magistrati ordinari, assicurare la loro immediata reperibilita' anche quando non si trovano presso i locali dell'ufficio" (Circolare 15 marzo 2006 del Dipartimento per gli Affari di giustizia in materia di "Razionalizzazione e contenimento delle spese di giustizia", paragrafo 4.3). X) Il giudice di pace e' sottoposto, in caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e d'ufficio, al pari dei magistrati di carriera, al potere disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, senza, peraltro, avere le stesse garanzie ordinamentali di difesa che dovrebbero competere a chiunque eserciti, al livello piu' alto, uno dei tre poteri fondamentali dello Stato (la giurisdizione ordinaria). XI) Il giudice di pace e' retribuito con lo stesso sistema previsto per i magistrati di carriera (ruoli di spesa fissa, tramite il sistema informatizzato GiudiciNet; vedasi nota del 12 febbraio 2007 a firma congiunta del Direttore generale della giustizia civile e del Direttore generale del bilancio e della contabilita'). XII) Le certificazioni reddituali del giudice di pace sono rilasciate con le stesse modalita' previste per gli altri pubblici impiegati (previa obbligatoria iscrizione ed accesso al sito istituzionale Internet "Stipendi Pubblica Amministrazione", gestito dal Dipartimento dell'Amministrazione Generale del personale e dei servizi, che "si occupa degli approvvigionamenti per le pubbliche amministrazioni e dell'elaborazione ed erogazione degli stipendi dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato", come esplicato nella home page del servizio in oggetto). XIII) Fiscalmente il reddito del giudice di pace e' assimilato al reddito da lavoro dipendente (articolo 50, comma 1, lett. f) del TUIR - d.P.R. n. 917/1986 -, sub Capo IV, "Redditi di lavoro dipendente"), con applicazione delle stesse trattenute del pubblico impiegato (escluse ovviamente quelle previdenziali, in assenza di tutela). XIV) "E' indubbio che l'attivita' del giudice di pace, in quanto espletata nell'ambito di un rapporto di servizio, sia pur onorario, prevede obblighi di prestazione disciplinati dalla legge, dalle disposizioni di circolari e ministeriali e dagli ordini di servizio che promanano dai coordinatori degli uffici del giudice di pace con la previsioni di turni, udienze, adempimenti procedurali, senza che vi sia la possibilita' effettiva di organizzare in modo autonomo il proprio lavoro" (delibera del 27 luglio 2006 del Consiglio Superiore della Magistratura in risposta a quesiti). 1.4. Conclusioni - Carenza di discrezionalita' in capo al Legislatore. In conclusione, il giudice di pace ha gli stessi, identici doveri del magistrato di carriera (dal quale si distingue solo per un regime meno rigoroso di incompatibilita'), con assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del Ministero della Giustizia, del Capo dell'Ufficio, del Presidente del Tribunale, del Presidente della Corte di Appello, del Consiglio Giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura, senza che, al di fuori delle prestazioni indennitarie previste dal richiamato articolo 11, legge n. 374 del 21 novembre 1991, sia ammesso al godimento degli altri fondamentali ed inalienabili diritti ordinamentali e della persona riconosciuti al magistrato ordinario di carriera (potesta' di autogoverno, ossia elettorato attivo e passivo per la nomina dei componenti del C.S.M.; tutela previdenziale; tutela della maternita' e della famiglia; tutela del diritto alla salute; assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro; etc.), pur trattandosi di diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione, senza distinzione alcuna fra giudici onorari e di carriera. Non ci si allontana dal vero laddove si affermi che l'unica reale differenza fra la figura del giudice di pace e quella del di magistrato di carriera stia nella carenza, in capo al giudice di pace, dei predetti diritti, ossia di posizioni giuridiche soggettive attive che mai, nel nostro ordinamento giuridico, sono state prese in considerazione al fine di qualificare la natura giuridica del rapporto a fini giuslavoristici (i parametri per l'individuazione della natura subordinata del rapporto sono rappresentati, per consolidata giurisprudenza di legittimita' e di merito, costituzionale ed amministrativa, dai doveri, dagli obblighi, dalle responsabilita' disciplinari, dalla condizione oggettiva di sudditanza o di scarso potere contrattuale, ossia da qualsiasi elemento di fatto o diritto che sia rilevatore dell'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro o degli altri soggetti od organi a cio' preposti). Non si puo' non ragionevolmente rilevare, nella sostanza, che la natura onoraria del rapporto del giudice di pace, lungi dall'essere caratterizzata dai requisiti tipici della figura in oggetto (peraltro, a tutti i funzionari onorari e' riconosciuta la tutela previdenziale ed assistenziale, ivi compresi i giudici onorari di Tribunale ed i vice procuratori onorari, ossia organi giurisdizionali e requirenti con mere funzioni di supplenza il cui reddito e' assimilato a quello di Avvocato) costituisca solo il "pretesto" adottato dal Legislatore ordinario per denegare i piu' elementari diritti costituzionali giuslavoristici e le fondamentali garanzie ordinamentali di imparzialita' ed indipendenza. Il principio di ragionevolezza sul quale si fonda l'articolo 3 della Costituzione impone, con specifica comparazione alla figura del magistrato di carriera, che il rapporto di servizio del giudice di pace, magistrato ordinario a tempo pieno (reperibilita' costante) assoggettato agli stessi identici doveri del magistrato di carriera e connessi poteri direttivi e disciplinari, sia rimesso, quanto alle controversie che involgono la sua condizione giuridica lavorativa, a partire dalla corresponsione delle indennita' previste dall'articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991, alla competenza del Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, in presenza di tutti i requisiti di subordinazione o parasubordinazione previsti dall'articolo 409 c.p.c., tenuto conto che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie di lavoro che involgono i magistrati di carriera, lungi dal trovare il suo fondamento giuridico nell'articolo 103, comma 1, della Costituzione, con il quale, al contrario, collide insanabilmente alla luce della piu' recente giurisprudenza costituzionale (assenza, di norma, di atti autoritativi della p.a. nelle controversie di lavoro), trae giustificazione esclusivamente dal disposto inviolabile dell'articolo 111, comma 2, della Costituzione, al fine di garantire la terzieta' del giudice nelle controversie che attengono ad interessi patrimoniali del magistrato di carriera direttamente connessi all'esercizio della giurisdizione (potenziale interesse di qualsiasi magistrato ordinario alla risoluzione favorevole di una controversia sullo status giuridico di un collega). Non ponendosi tale esigenza anche nei confronti del giudice di pace, il quale, al contrario, sotto il profilo delle posizioni giuridiche soggettive attive, non presenta, come sopra gia' ampiamente evidenziato, alcuna comunanza di interessi con il magistrato di carriera, l'unica soluzione compatibile con i richiamati precetti costituzionali, senza che residui margine alcuno di discrezionalita' in capo al Legislatore, e' rappresentata dall'attribuzione delle controversie di lavoro del giudice di pace alla competenza del Tribunale in funzione di giudice del lavoro. In particolare, con specifico riferimento alle controversie sulle indennita' del giudice di pace, l'articolo 103 della Costituzione preclude la loro devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo, in assenza, di regola, di atti unilaterali ed autoritativi della p.a. (come, per l'appunto, nel caso di specie, ove il giudice di pace ricorrente lamenta l'omessa corresponsione dell'indennita' forfettaria mensile nella sua interezza, senza menzione alcuna ad atti o provvedimenti contrari della p.a.); le indennita' del giudice di pace, infatti, sono predeterminate dalla legge ed ingenerano posizioni giuridiche di diritto soggettivo pieno, senza alcun margine di discrezionalita' in capo alla p.a., la quale, nella veste di Ente debitore, nel riconoscere o disconoscere tali posizioni giuridiche soggettive non esercita alcuna potesta' pubblicistica (natura paritetica e tipicamente civilistica dei rapporti giuridici nascenti dall'applicazione dell'articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991). In tal senso, la mancata previsione nell'articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991, come univocamente interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione, della competenza funzionale del Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, si appalesa come un'anomala ed irragionevole deviazione dal sistema ordinario giuslavoristico, che ricomprende nell'ambito delle controversie di lavoro tutti i rapporti giuridici ad esso assimilabili, a prescindere dalla loro denominazione convenzionale o legislativa, tenuto esclusivamente conto della natura sostanziale del rapporto, con particolare riferimento all'assoggettamento del lavoratore, anche a tempo determinato, parziale o stagionale, persino se in prova o a finalita' formative, al potere direttivo/organizzativo ed al potere disciplinare del datore di lavoro o degli altri organi comunque a lui preposti. La devoluzione della competenza sulle controversie in oggetto al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro non comporta necessariamente, peraltro, la preliminare ricomprensione del rapporto di servizio del giudice di pace nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, sia per l'esplicita previsione normativa di onorarieta' del rapporto (pur nella sua assai dubbia effettivita' e legittimita' costituzionalita'), sia per l'assenza di una formale investitura (anch'essa, poi, sostanzialmente dubbia, essendo la nomina del giudice di pace assoggettata ad un concorso pubblico, ad un periodo obbligatorio di tirocinio, alla deliberazione positiva del Consiglio Superiore della Magistratura, su parere del Consiglio Giudiziario, ed all'emissione del formale atto di nomina da parte del Ministro della Giustizia, in maniera non dissimile dalla nomina del magistrato di carriera). La Corte costituzionale, gia' con sentenza n. 121 del 29 marzo 1993, ha avuto modo di affermare la configurabilita' di un rapporto di subordinazione o parasubordinazione con un'Amministrazione dello Stato anche al di fuori del rapporto di pubblico impiego: "Ne' e' di ostacolo la norma contenuta nell'art. 12, secondo cui "Le prestazioni rese in applicazione della medesima legge non fanno sorgere, in ogni caso, rapporto di pubblico impiego". Con tale formula, infatti, il legislatore ha inteso escludere non gia' la natura subordinata dei rapporti di lavoro in questione, ma solo l'applicabilita' ai medesimi delle particolari norme sostanziali che disciplinano il rapporto di pubblico impiego: cio' e' reso evidente, del resto, dal fatto che la norma si riferisce anche ai contratti a termine rinnovabili, per i quali la qualificazione come rapporti di lavoro subordinato non puo' essere messa in discussione. Ed e' da precisare che non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da cio' derivi l'inapplicabilita' delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato". Non dissimile e' la questione oggetto del presente sindacato di legittimita' costituzionale: il legislatore del 1991, a mezzo della dicitura "onorario", ha solo inteso "negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura", allo scopo di determinare "l'inapplicabilita' delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato". Fra le menzionate norme inderogabili non possono non essere ricomprese le disposizioni speciali di favore, sostanziali e processuali, previste nel rito di lavoro, a garanzia di una piena tutela dei diritti giuslavoristici (esenzione da tributi e contributo unificato; principio di semplificazione ed accelerazione degli atti processuali; debenza della rivalutazione monetaria, unitamente agli interessi legali; immediata esecutivita' del dispositivo letto in udienza, etc.). 2. Violazione degli articoli 4, comma 1, e 35, comma 1, 97, comma 3 e 106, commi l e 2, della Costituzione. La Costituzione tutela ogni forma di lavoro, a prescindere dalla sua durata (tutela del lavoro a tempo determinato, anche stagionale o in prova) e dalla sua esclusivita' o meno (tutela del lavoro part-time). Nel caso di specie, peraltro, almeno per un quadriennio (e per ulteriori due quadrienni, nel caso di valutazione positiva di idoneita' del C.S.M. in sede di conferma), il giudice di pace svolge l'attivita' giudiziaria a tempo pieno ed in via continuativa (obbligo di Osservanza delle tabelle dell'Ufficio, che coprono, senza soluzione di continuita', un intero triennio di attivita' del giudice; reperibilita' costante; obbligo di produttivita' commisurato al carico di lavoro dell'Ufficio, che notoriamente ha raggiunto, sulla base delle stime ufficiali del Ministero della Giustizia, una consistenza comparabile a quella dei Tribunali). Aggiungasi che la conferma, sostanziandosi in un giudizio di idoneita' di merito, laddove determini una vera e propria novazione dell'incarico (discontinuita' del rapporto, come pur affermato in numerosi atti del C.S.M. e sentenze della Cassazione), integrerebbe un nuovo concorso del giudice, non piu' per titoli, bensi' per esame (articolo 7, comma 2-bis, legge n. 374 del 21 novembre 1991), perdendo i presunti connotati meramente politico-discrezionali evidenziati dalla cassazione per assumere il carattere tecnico-amministrativo che, sempre alla luce della richiamata giurisprudenza (Cass. ss.uu. n. 11272/1998), caratterizza le procedure concorsuali in senso proprio ("giudizio di idoneita' del giudice di pace a svolgere le funzioni per il successivo quadriennio (omissis) sulla base dell'esame a campione delle sentenze e dei verbali redatti dal giudice onorario oltre che della quantita' statistica del lavoro svolto"). Tutti i giudici di pace attualmente in servizio hanno superato, con esito positivo, da uno a tre giudizi di idoneita' emessi dal C.S.M. ai sensi dell'articolo 7, comma 2-bis, legge n. 374 del 21 novembre 1991, tenuto conto che a partire dall'entrata in vigore della legge n. 271 del 12 novembre 2004, di conversione del decreto legge n. 241 del 14 settembre 2004, tutte le procedure concorsuali sono state sospese (articolo 10-ter, comma 2, legge n. 374 del 21 novembre 1991, come modificato dall'articolo 1, comma 6-ter del richiamato decreto legge), con relativa inesistenza di nuove nomine a giudice di pace negli ultimi sette anni e mezzo. Sotto tale profilo, ma gia' in un momento anteriore, in sede di prima nomina, come gia' accennato al punto 1, il rapporto di servizio del giudice di pace presenta tutti i requisiti formali e sostanziali per il riconoscimento dell'esistenza di un vero e proprio rapporto di pubblico impiego, alla luce della stessa giurisprudenza della Cassazione, ogni qual volta essa si e' pronunciata nell'ambito di rapporti instaurati dalla p.a. con soggetti ad essa estranei, non espressamente qualificati dalla legge come rapporti di servizio "onorario" (ad ulteriore riprova della pregiudiziale di natura esclusivamente formale posta dalla cassazione al riconoscimento dei diritti fondamentali giuslavoristici in capo al giudice di pace). Ne', in materia di pubblico impiego, gli articoli 97 e 106 della Costituzione, nel prevedere, come modalita' alternativa al concorso, l'accesso alla p.a. ed alla magistratura ordinaria secondo modalita' diverse prestabilite dalla legge, discriminano fra funzionario e funzionario, sia con riferimento alla costituzione del rapporto di pubblico impiego, sia con riferimento alla tutela dei fondamentali diritti giuslavoristici. "Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle controversie, recanti pretese di carattere patrimoniale e previdenziale, promosse da un soggetto, estraneo alla p.a., nominato "esperto" con D.P.C.M (ai sensi degli artt. 30 e 31 della legge n. 400 del 1988), poiche' tale rapporto, sorto ed esaurito prima del 30 giugno 1998, e' qualificabile come pubblico impiego, essendovi un continuativo e non occasionale inserimento del lavoratore in regime di subordinazione nell'organizzazione pubblicistica della p.a. (Presidenza del Consiglio dei Ministri), a nulla rilevando l'apposizione di termini alla durata della prestazione ovvero le modalita' onnicomprensive pattuite per il compenso". "Ne' per andare in contrario avviso e riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario vale addurre la temporaneita' del rapporto lavorativo del Tavani e le modalita' del compenso pattuito tra le parti, avendo queste Sezioni Unite piu' volte affermato che non ostano alla configurazione del rapporto di pubblico impiego ne'la mancanza dell'atto formale di nomina, ne'la mancanza di stabilita', qualora risulti il continuativo e non occasionale inserimento del lavoratore, in regime di subordinazione, nell'organizzazione pubblicistica dell'ente, a nulla rilevando l'apposizione di termini alla durata della prestazione lavorativa ovvero le modalita' pattuite per il compenso (Cass., sez. Un. , 21 giugno 21995 n. 7011, cui. afide Cass., sez. Un. , 16 novembre 1998 n. 11548 ed in epoca piu' recente, Cass., sez. Un. , 18 marzo 2004 n. 5536). Al riguardo va sottolineato come in una fattispecie - relativa al conferimento dello incarico di "project manager" da parte di un ente pubblico - con profili di analogia con quella in esame, e' stata negata da queste Sezioni Unite la configurabilita' di un contratto di lavoro autonomo relativo ad un'attivita' di collaborazione esterna, riconducibile ad un'ipotesi di "parasubordinazione", ma e' stato invece riaffermato che il conferimento dell'incarico comportava l'inserimento, con carattere di continuita', nella struttura dell'ente e l'attribuzione della relativa responsabilita', correlata anche allo svolgimento delle funzioni pubbliche delegate, il che risultava sufficiente per riconoscere la sussistenza di rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione (Cass., sez. Un. , 18 marzo 2004 n. 5536 cit)". (Massima ed estratto di motivazione della sentenza della cassazione a sezioni unite n. 19509 del 16 luglio 2008). Nel caso di specie, la cassazione ha riconosciuto la qualita' di pubblico impiegato ad un altissimo funzionario dello Stato, direttamente nominato, con scelta politico-discrezionale, dal Potere Esecutivo (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), ossia, di fatto, ad un funzionario onorario tipico (vedasi capitolo 1.1.), pur in assenza di un'espressa qualifica legislativa. Risulta, in conclusione, davvero arduo, e proprio alla luce della consolidata giurisprudenza delle sezioni unite della Suprema Corte di' Cassazione, non riconoscere nella figura del giudice di pace la condizione di un vero e proprio pubblico impiegato, laddove si pervenga al superamento del corollario della cassazione medesima (vedasi pronunce richiamate in premessa), apparentemente contrario ai richiamati parametri costituzionali, alla luce del quale e' sufficiente la mera qualificazione formale di funzionario "onorario" operata dalla legge a pregiudicare il riconoscimento di qualsiasi diritto giuslavoristico al giudice di pace, senza che al rimettente sia lasciato alcun margine di apprezzamento, neanche in punto di fatto (impossibilita' di interpretare la legge, come cristallizzata dalla cassazione in materia di funzionario "onorario" in generale, e di giudice di pace in particolare, in senso costituzionalmente orientato). Resta, quindi, anche sotto i richiamati profili costituzionali (articoli 4, 35, 97 e 106 della Costituzione), il grave dubbio di legittimita' costituzionale di una norma di legge (l'articolo 11, comma 1, legge n. 374 del 21 novembre 1991), come univocamente interpretata dalla Cassazione, che alla luce di una mera definizione formale ("onorario"), pur in costanza di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, sia in punto di diritto (vedasi le gia' richiamate fonti normative, di primo e secondo grado), sia in punto di fatto, comporti la negazione dei diritti fondamentali della persona, ivi comprese le garanzie processuali e sostanziali che caratterizzano il rito del lavoro. 3. Violazione dell'articolo 25, comma 1, della Costituzione. In materia di controversie relative a posizioni giuridiche soggettive nascenti da rapporti giuridici o di fatto di lavoro subordinato o parasubordinato il giudice naturale precostituito per legge e' individuato nel Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, mediante una disciplina processuale (ma anche sostanziale - vedasi articolo 429, comma 3, c.p.c.) di favore, come gia' ripetutamente evidenziato. Ne discende, in assenza di ragionevoli motivi che legittimino una diversa regolamentazione del rapporto (vedasi punto 1), che il Giudice del Lavoro integra, ad ogni effetto, il giudice naturale precostituito per legge anche nell'ambito delle controversie sulle prestazioni economiche dovute al giudice di pace, quali corrispettivi per le attivita' compiute, non potendo la diversa qualificazione legislativa del compenso, in costanza di un rapporto di subordinazione o parasubordinazione, comportare l'esclusione del vincolo di sinallagmaticita' fra le prestazioni economiche medesime ed il lavoro del giudice di pace, vincolo, peraltro, ulteriormente rafforzato dal diretto collegamento, quanto a buona parte delle indennita' previste dall'articolo 11 della legge n. 374 del 21 novembre 1991, all'effettiva produttivita' e laboriosita' del giudice.