IL GIUDICE DI PACE 
 
     Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza,  con  atto  di  ricorso
depositato nella cancelleria di questo  Ufficio  in  data  19  maggio
2011, procedimento iscritto al  n.  62248/2011  R.A.Cont.,  il  dott.
Franco Guidoni, giudice di pace presso l'Ufficio  di  Verona,  difeso
dall'Avv. Luciano  Bonomo  del  foro  di  Verona  e  dall'Avv.  Carlo
Innocenzo Frugoni del foro di Roma, elett. dom/to  presso  lo  Studio
legale di quest'ultimo in Roma, Viale Mazzini n. 120, ha  chiesto  al
giudice di pace di Roma l'emissione  di  decreto  ingiuntivo  per  la
somma  complessiva  di  € 4.381,79,  oltre  interessi  legali   dalle
scadenze al saldo, oltre alle spese legali,  il  tutto  entro  e  non
oltre la competenza per valore  del  giudice  adito,  per  l'indebita
decurtazione  parziale  negli  anni  2003  -   2011   dell'indennita'
forfettaria mensile di € 258,23,  prevista,  "a  titolo  di  rimborso
spese  per   l'attivita'   di   formazione,   aggiornamento   e   per
l'espletamento dei servizi generali di istituto" da parte del giudice
di pace, dall'articolo 11, comma 3 della legge n. 374 del 21 novembre
1991 e successive modificazioni. 
    Per  consolidata  ed  univoca  giurisprudenza  della   cassazione
(vedasi sezioni unite n. 11272/1998, sezione  lavoro  nn.  1189/1999,
1202/1999,  altre  sezioni  nn.  5523/2004,  12026/2004,   9155/2005,
10611/2005 - non si rinvengono pronunce  contrarie),  in  materia  di
indennita' spettanti al giudice di pace, come previste dal richiamato
articolo 11 della legge n. 374 del  21  novembre  1991  e  successive
modificazioni,  il  giudice  competente  a  dirimere  ogni  correlata
questione e controversia e' quello individuato dalla legge secondo il
criterio generale del valore della causa. 
    "La competenza per le cause  aventi  ad  oggetto  il  trattamento
economico indennitario spettante ai funzionari onorari -  non  legati
all'ente  pubblico  da  un  rapporto  professionale  di  servizio   e
qualificabili come organi dello stesso ente  -  va  determinata  (nel
caso in cui, in relazione  alla  posizione  giuridica  fatta  valere,
sussista la giurisdizione del giudice ordinario) in  base  al  valore
della  causa,  poiche'  non  sussistono  gli  elementi  della  figura
giuridica della parasubordinazione delineata dall'art. 409 n. 3  cod.
proc. civ. (Fattispecie relativa alla rivendicazione  dell'indennita'
cosiddetta giudiziaria da parte di giudici di pace)" (Cass. ss.uu. n.
11272/1998). 
    Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale,
l'orientamento costante ed univoco della Suprema Corte di Cassazione,
anche a sezioni unite, nella sua inalienabile funzione nomofilattica,
integra vero e proprio diritto vivente, con  relativa  ammissibilita'
della questione di legittimita' costituzionale di una norma di  legge
come interpretata dalla giurisprudenza di Cassazione,  la  quale  non
lasci  al  giudice  di  merito  margine   alcuno   di   apprezzamento
discrezionale. 
    L'articolo 11 della legge n.  374  del  21  novembre  1991,  come
univocamente interpretato dalla Suprema  Corte  di  Cassazione,  pone
questioni rilevanti e non manifestamente  infondate  di  legittimita'
costituzionale, in relazione agli articoli 3, commi 1 e 2,  4,  comma
1, 25, comma 1, 35, comma 1, 97, comma 3, e 106, commi 1 e  2,  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il   giudice
competente per materia a dirimere ogni controversia  sulle  spettanze
economiche del giudice di  pace  ivi  previste  e'  il  Tribunale  in
funzione di Giudice del lavoro. 
 
                      Rilevanza delle questioni 
 
    Le questioni sono rilevanti per la definizione  del  procedimento
in  oggetto;  la  pronuncia  della  Corte  costituzionale,   infatti,
produrra' effetti decisivi in  ordine  alla  questione  pregiudiziale
sulla competenza del giudice adito, nonche' sul merito: a) in caso di
declaratoria di inammissibilita' o infondatezza della  questione,  il
giudice rimettente si dichiarera' competente per valore ai sensi  del
combinato disposto degli articoli 7, comma 1 e 14, comma  1,  c.p.c.,
nonche' per territorio, ai sensi  dell'articolo  25  c.p.c.,  dovendo
l'obbligazione essere eseguita, ai sensi del regio  decreto  n.  2440
del 18 novembre 1923 e successive modifiche,  nel  luogo  in  cui  si
trovano gli uffici amministrativi centrali dello Stato competenti  ad
autorizzare  il  pagamento,  ed  emettera'  il  decreto   ingiuntivo,
evidenziando l'allegata documentazione - attestazione  del  direttore
amministrativo dell'Ufficio del  giudice  di  pace  di  Verona  delle
indennita' forfettarie mensili corrisposte negli anni di  riferimento
2003/2011  -  la  decurtazione  parziale  o  totale  in  alcuni  mesi
dell'indennita'  in  oggetto  senza  che  emerga  dagli  atti   alcun
legittimo  motivo  che   ne   giustifichi   l'omessa   corresponsione
integrale,  con   specifico   riferimento   ai   requisiti   previsti
dall'articolo 11, comma 3, della legge n. 374 del 21  novembre  1991;
b) nel caso, al contrario,  di  declaratoria  di  incostituzionalita'
parziale della disposizione in oggetto, nel senso sopra  specificato,
per uno o piu' dei profili di  dubbia  costituzionalita'  di  seguito
esplicati, il giudice rimettente  dovra'  dichiararsi  funzionalmente
incompetente, con  relativo  onere  del  ricorrente  di  ripresentare
l'istanza dinanzi al Tribunale in  funzione  di  Giudice  del  Lavoro
territorialmente competente. 
 
Impossibilita'   di   interpretazione   della    legge    in    senso
                    costituzionalmente orientato. 
 
    La richiamata giurisprudenza della Suprema  Corte  di  cassazione
preclude al giudice rimettente la possibilita' di  un'interpretazione
diversa  e  costituzionalmente  orientata  della  norma  in  oggetto,
escludendo categoricamente la configurabilita' in capo al giudice  di
pace,  contemporaneamente   ricompreso   nell'ampia   categoria   dei
funzionari  onorari  ed  in  quella  piu'  circoscritta  dei  giudici
onorari, non solo di un rapporto di pubblico impiego, ma anche di  un
diverso e/o atipico rapporto di subordinazione o  parasubordinazione,
anche solo in via di fatto (rilevante in materia giuslavoristica). 
    La categoricita' della giurisprudenza  univoca  della  cassazione
non consente al giudice rimettente alcun margine di  discrezionalita'
nella valutazione della natura giuridica del rapporto di servizio del
giudice di pace, giammai  assimilabile  ad  un  rapporto  di  lavoro,
subordinato  o  parasubordinato,  in  ragione   della   pregiudiziale
invalicabile    dell'onorarieta'    della     funzione,     ritenuta,
conclusivamente, dalla cassazione  preclusiva  di  qualsiasi  diversa
qualificazione giuridica del rapporto  ("La  figura  del  funzionario
onorario, che ha carattere residuale rispetto a quella  del  pubblico
dipendente senza che pertanto possa ipotizzarsi  un  "tertium  genus"
neppure sotto il profilo della parasubordinazione, si configura  ogni
qualvolta esista un rapporto di servizio con attribuzione di funzioni
pubbliche  ma  manchino  gli  elementi  caratterizzanti  dell'impiego
pubblico"; Cass. ss.uu. n. 3129/1997). 
 
             Non manifesta infondatezza delle questioni 
 
1. Violazione dell'articolo 3, commi I e 2, della Costituzione. 
    La disposizione in oggetto (articolo 11 della legge n. 374 del 21
novembre 1991), come univocamente interpretata dalla Suprema Corte di
Cassazione, nel denegare che il rapporto  di  servizio  onorario  del
giudice di pace (comma 1), il quale da' origine ai correlati rapporti
obbligatori di natura pecuniaria ivi previsti (commi 2  e  seguenti),
integri un rapporto di lavoro subordinato  o  parasubordinato,  cosi'
escludendo  il  giudice  di  pace  dalle   garanzie   processuali   e
sostanziali  previste  dal  diritto  del  lavoro,  in  attuazione  di
inviolabili precetti  costituzionali  (articoli  4  e  35  ss.  della
Costituzione)  si  pone   in   violazione   con   il   principio   di
ragionevolezza sul quale si fonda l'articolo 3 della Costituzione: in
tanto e' ammissibile una diversa regolamentazione  legislativa  dello
status  giuridico,  con   particolare   riferimento   alle   garanzie
processuali e sostanziali dei diritti patrimoniali da esso  nascenti,
di un funzionario pubblico  il  quale,  pur  formalmente  qualificato
dalla legge come "onorario", sia assoggettato, al pari  di  qualsiasi
altro funzionario dello Stato, ai tipici  vincoli  di  subordinazione
che caratterizzano il rapporto di pubblico  impiego  (assoggettamento
al potere  organizzativo,  direttivo  e  disciplinare  dei  superiori
gerarchici),  in   quanto   tale   anomalo   status   giuridico   sia
ragionevolmente  compatibile  con   il   principio   di   eguaglianza
solennemente sancito dall'articolo 3 della Costituzione,  ovvero  con
l'esigenza di rimozione degli ostacoli di natura sociale od economica
che limitano di fatto la liberta' ed uguaglianza dei cittadini. 
1.1.  Le  figure  tipiche  di  funzionario  onorario  previste  nella
Costituzione e nell'ordinamento giuridico in generale. 
    E'  ragionevolmente   compatibile   con   i   criteri   tassativi
individuati  dall'articolo   3   della   Costituzione   una   diversa
disciplina, rispetto al rapporto di pubblico impiego, del rapporto di
servizio pubblico tipicamente onorario,  ossia  caratterizzato  dagli
elementi tipici dell'assenza di un concorso pubblico e della  carenza
di vincoli di subordinazione nei confronti di soggetti terzi  (potere
di autodeterminazione ed autodisciplina). 
    In tal senso sono funzionari onorari tipici le piu' alte  cariche
dello Stato, quali il Presidente della Repubblica,  i  giudici  della
Corte costituzionale, i  componenti  del  Consiglio  Superiore  della
Magistratura, i Parlamentari, i Ministri ed i Sottosegretari, sino ad
arrivare agli incarichi per  nomina  politica,  in  quanto  tale  non
sindacabile dinanzi ad  un'autorita'  giurisdizionale,  riservata  al
Potere Esecutivo; le persone fisiche che ricoprono tali funzioni sono
investiti della potesta' pubblica per elezione diretta del popolo  (i
Parlamentari) o per elezione "mediata"  da  parte  di  predeterminate
categorie  di  funzionari  pubblici,  per  lo  piu'  individuate   da
specifiche  norme  costituzionali,   che   rappresentano   i   poteri
fondamentali dello Stato, senza che la loro nomina possa, di  regola,
essere sindacata nel merito dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale. 
    Al  di  fuori  delle  specifiche  disposizioni   previste   dalla
Costituzione, la legge deve sempre garantire che  l'organizzazione  e
la disciplina,  ai  fini  del  corretto  funzionamento  degli  organi
istituzionali ai quali i predetti  funzionari  sono  preposti,  siano
espressione  del  loro  potere  di  autogoverno,  in  attuazione  del
principio fondamentale di separazione  ed  indipendenza  di  tutti  i
Poteri fondamentali dello Stato, previo riconoscimento  di  esclusive
potesta' regolamentari interne ed istituzione di autonomi  organi  di
autodisciplina, composti da funzionari pubblici nominati  all'interno
dello stesso Corpo di appartenenza. 
    Non essendo tali categorie di funzionari onorari  in  alcun  modo
assimilabili ai pubblici impiegati,  ne  discende  la  ragionevolezza
delle disposizioni di legge che prevedono  che  le  controversie  sui
compensi  economici  loro  spettanti  siano   rimesse   all'autorita'
giudiziaria individuata secondo gli ordinari  criteri  di  competenza
per  valore,  esclusa  la  competenza  funzionale  del  Tribunale  in
funzione di Giudice del Lavoro. 
1.2. Il magistrato ordinario di carriera. 
    Nell'ambito dei vari  Ordini  di  pubblici  funzionari  investiti
delle piu' alte cariche dello  Stato,  una  delle  poche  figure  non
elevabile  al  rango  di  funzionario  onorario   e'   rappresentata,
conformemente al  dettato  costituzionale  (articolo  106,  comma  1,
Costituzione), dai magistrati ordinari di carriera, i quali, sotto il
profilo   funzionale,   sono   tutti   investiti    della    potesta'
giurisdizionale piena (ossia di uno  dei  tre  poteri  supremi  dello
Stato), senza vincoli di sudditanza. 
    Diversa e', tuttavia, la condizione giuridica dei  magistrati  di
carriera sotto il profilo economico,  organizzativo  e  disciplinare,
pur nell'ambito di un sistema ordinamentale ampiamente garantista che
mira a preservare l'indipendenza della funzione mediante  un  sistema
di parziale  autogoverno  degli  organi  preposti  all'organizzazione
degli uffici ed alla persecuzione  degli  illeciti  disciplinari  (il
Consiglio Superiore della Magistratura e' composto, per due terzi, da
magistrati di carriera); in tal senso, i magistrati di carriera  sono
assimilati dalla legge, sotto il profilo  dello  status  economico  e
previdenziale, ai pubblici impiegati, caratterizzandosi, anche  sotto
il profilo dell'organizzazione del lavoro e dei  poteri  disciplinari
del C.S.M., dal vincolo di subordinazione, ossia da precisi doveri di
Osservanza delle tabelle di composizione degli Uffici di appartenenza
(le quali prestabiliscono le date e gli  orari  delle  udienze  ed  i
criteri di individuazione degli  affari  civili  o  penali  ai  quali
ciascun singolo giudice e' preposto), degli ordini  di  servizio  del
Capo  dell'Ufficio,  dei  provvedimenti  organizzativi  generali  del
Consiglio  Superiore  della  Magistratura,  su  parere  dei  Consigli
Giudiziari,  della   reperibilita'   costante,   salvo   giustificato
impedimento, nonche' da precisi doveri  di  Osservanza  di  tutte  le
regole  professionali  e  deontologiche  desumibili  dall'ordinamento
giudiziario e dal decreto legislativo di tipizzazione degli  illeciti
disciplinari (produttivita',  laboriosita',  diligenza,  correttezza,
stile di vita consono all'alta funzione svolta.). 
    Ne  discende  la  piena  ragionevolezza   dell'assimilazione   al
pubblico impiego del rapporto di servizio del magistrato di carriera,
considerato il  suo  penetrante  assoggettamento,  sotto  il  profilo
organizzativo e disciplinare, al potere direttivo degli  alti  organi
della Magistratura a  cio'  preposti  (Capi  degli  Uffici,  Consigli
Giudiziari,   Consiglio   Superiore    della    Magistratura),    con
un'organizzazione degli uffici di natura strettamente gerarchica. 
1.3. Non assimilabilita' del giudice di pace al funzionario  onorario
- assimilabilita' del giudice di pace al magistrato di carriera. 
    La figura del giudice di pace, pur essendo dalla legge ricompresa
nell'ambito dei rapporti pubblici di servizio onorario  (articoli  1,
comma 2 ed 11, comma 1, legge  n.  374  del  21  novembre  1991),  si
caratterizza per delle peculiarita'  sue  esclusive,  che  non  hanno
alcun punto  di  contatto  con  le  figure  tipiche  ed  atipiche  di
funzionari onorari previste nel  nostro  ordinamento  giuridico,  ivi
comprese le altre categorie  di  giudici  onorari,  connotandosi,  al
contrario, per le sue incontrovertibili similitudini  con  la  figura
del magistrato di carriera sotto il profilo dei  doveri  d'ufficio  e
deontologici  (tipici   parametri   di   valutazione   della   natura
subordinata del rapporto), sostanzialmente identici, differenziandosi
solo per l'esclusione  dai  diritti  costituzionali  fondamentali  di
autogoverno (i giudici di pace  sono  esclusi  dal  C.S.M.,  malgrado
l'espressa  previsione  dell'articolo  104  della  Costituzione),  di
progressione di carriera, di stabilita'  del  rapporto  e  di  tutela
previdenziale ed assistenziale. 
        I) Il giudice di pace e' un  giudice  ordinario  (articolo  I
dell'ordinamento giudiziario) titolare  dell'Ufficio  Giudiziario  di
appartenenza (articolo 1, comma 2,  legge  n.  374  del  21  novembre
1991), al pari del magistrato di carriera. 
        II) A differenza degli altri magistrati onorari, ed  al  pari
dei magistrati di carriera, i giudici  di  pace,  quali  titolari  di
autonome attribuzioni giurisdizionali, sono  incardinati  all'interno
dell'ordinamento giudiziario e distribuiti nel territorio sulla  base
di piante organiche predeterminate dalla legge  e  dai  provvedimenti
amministrativi attuativi. 
        III) "Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza dei  doveri
previsti per i magistrati ordinari" (articolo 10, comma 1,  legge  n.
374 del 21 novembre 1991). 
        IV) Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza delle tabelle
di composizione dell'ufficio di appartenenza, al pari del  magistrato
di   camera,   con   applicabilita'   diretta   dell'articolo   7-bis
dell'ordinamento giudiziario (da  ultimo,  circolare  del  C.S.M.  n.
P/25967 del 28 ottobre 2008 "relativa alla formazione  delle  tabelle
di composizione degli uffici del giudice  di  pace  per  il  triennio
2009/2011"). 
        V) Il giudice di pace e' tenuto all'Osservanza  degli  ordini
di servizio del Capo dell'Ufficio (il giudice di pace coordinatore ai
sensi dell'articolo 15, comma 2, legge n. 374 del 21 novembre 1991  -
vedasi anche delibere del C.S.M. del 10 aprile 1996 e del  23  aprile
1997 in risposta a quesiti, e circolare del  C.S.M.  n.  P/15880/2002
del  1°  agosto  2002  e  successive  modifiche  -  "il   ruolo   dei
coordinatori, soprattutto negli uffici di medie e grandi  dimensioni,
presenta  caratteristiche  analoghe  a  quelle  dei  dirigenti  degli
uffici", capo XIV, paragrafo 1, quarto capoverso; "Il giudice di pace
nominato coordinatore assume, a tutti gli  effetti,  le  funzioni  di
capo dell'ufficio", capo XIV, paragrafo 1, primo capoverso), al  pari
del magistrato di carriera. 
        VI) Il giudice di pace e' assoggettato alla sorveglianza  del
Presidente del Tribunale (articolo 16, legge n. 374 del  21  novembre
1991, circolare del C.S.M. n. 8029 del 27 maggio 1995), il quale,  di
fatto, ha poteri di direzione e controllo su tutti giudici  ordinari,
di  pace   e   di   carriera,   del   suo   circondario   ("(omissis)
l'individuazione  del  Presidente  di   Tribunale   come   punto   di
riferimento di una  sorveglianza  estesa  anche  alla  organizzazione
degli uffici di giudice di pace del circondario"; delibera del C.S.M.
del 16 luglio 2009). 
        VII)  Il  giudice  di  pace  e'  tenuto  all'Osservanza   dei
provvedimenti  organizzativi  speciali  e  generali   del   Consiglio
Superiore della Magistratura, su  parere  del  Consiglio  Giudiziario
(articoli 10, comma 1 e 15, comma 1, lett. e), decreto legislativo n.
25  del  27  gennaio  2006  e  successive  modifiche),  al  pari  dei
magistrati di carriera. 
        VIII) Senza  trascurare  i  penetranti  poteri  organizzativi
previsti dalla legge  in  capo  al  Ministero  della  Giustizia,  con
effetti  immediati  sul  lavoro  dei  giudici  di  pace  (potere   di
accorpamento di sedi e di istituzione di sedi distaccate - articolo 2
della legge n. 374 del 21 novembre 1991 -; potere di revisione  delle
piante organiche degli uffici -articoli 3 e I 0-ter, comma  2,  della
legge n. 374 del 21 novembre 1991), oltre alle piu' generali potesta'
interpretative  ed  applicative  del  Ministero,  in  particolare  in
materia di prestazioni economiche,  unilateralmente  suscettibili  di
incidere immediatamente sul reddito del giudice di pace  a  mezzo  di
circolari o anche di semplici note. 
        IX) Il giudice di pace  e'  tenuto  a  garantire  la  propria
costante reperibilita' (rapporto di servizio a tempo pieno), al  pari
del magistrato di carriera. 
    "I giudici di pace sono infatti in servizio non  soltanto  quando
svolgono le attivita'  da  ultimo  descritte,  ma  in  ogni  momento,
dovendo essi, al pari dei magistrati  ordinari,  assicurare  la  loro
immediata reperibilita' anche quando non si trovano presso  i  locali
dell'ufficio" (Circolare 15  marzo  2006  del  Dipartimento  per  gli
Affari di giustizia in materia di "Razionalizzazione  e  contenimento
delle spese di giustizia", paragrafo 4.3). 
        X) Il giudice di pace e' sottoposto, in caso di  inosservanza
dei suoi doveri deontologici e d'ufficio, al pari dei  magistrati  di
carriera,  al  potere  disciplinare  del  Consiglio  Superiore  della
Magistratura, senza, peraltro, avere le stesse garanzie ordinamentali
di difesa che dovrebbero competere a chiunque  eserciti,  al  livello
piu'  alto,  uno  dei  tre  poteri  fondamentali  dello   Stato   (la
giurisdizione ordinaria). 
        XI) Il giudice di pace e' retribuito con  lo  stesso  sistema
previsto per i magistrati di carriera (ruoli di spesa fissa,  tramite
il sistema informatizzato GiudiciNet; vedasi  nota  del  12  febbraio
2007 a firma congiunta del Direttore generale della giustizia  civile
e del Direttore generale del bilancio e della contabilita'). 
        XII) Le certificazioni reddituali del giudice  di  pace  sono
rilasciate con le stesse modalita' previste per  gli  altri  pubblici
impiegati  (previa  obbligatoria  iscrizione  ed  accesso   al   sito
istituzionale Internet "Stipendi Pubblica  Amministrazione",  gestito
dal Dipartimento dell'Amministrazione Generale del  personale  e  dei
servizi, che "si occupa degli  approvvigionamenti  per  le  pubbliche
amministrazioni e dell'elaborazione ed erogazione degli stipendi  dei
dipendenti delle amministrazioni dello Stato", come  esplicato  nella
home page del servizio in oggetto). 
        XIII)  Fiscalmente  il  reddito  del  giudice  di   pace   e'
assimilato al reddito da lavoro dipendente  (articolo  50,  comma  1,
lett. f) del TUIR - d.P.R. n. 917/1986 -, sub Capo  IV,  "Redditi  di
lavoro dipendente"), con applicazione  delle  stesse  trattenute  del
pubblico  impiegato  (escluse  ovviamente  quelle  previdenziali,  in
assenza di tutela). 
        XIV) "E' indubbio che l'attivita' del  giudice  di  pace,  in
quanto espletata nell'ambito di un  rapporto  di  servizio,  sia  pur
onorario, prevede obblighi di prestazione disciplinati  dalla  legge,
dalle disposizioni di circolari e  ministeriali  e  dagli  ordini  di
servizio che promanano dai coordinatori degli uffici del  giudice  di
pace con la previsioni di turni,  udienze,  adempimenti  procedurali,
senza che vi sia la possibilita' effettiva  di  organizzare  in  modo
autonomo  il  proprio  lavoro"  (delibera  del  27  luglio  2006  del
Consiglio Superiore della Magistratura in risposta a quesiti). 
1.4.  Conclusioni  -  Carenza  di   discrezionalita'   in   capo   al
Legislatore. 
    In conclusione, il giudice di pace ha gli stessi, identici doveri
del magistrato di carriera (dal quale si distingue solo per un regime
meno rigoroso di incompatibilita'),  con  assoggettamento  al  potere
organizzativo,  direttivo  e   disciplinare   del   Ministero   della
Giustizia, del Capo dell'Ufficio, del Presidente del  Tribunale,  del
Presidente della Corte di Appello, del Consiglio  Giudiziario  e  del
Consiglio Superiore della Magistratura, senza che, al di fuori  delle
prestazioni indennitarie previste dal richiamato articolo  11,  legge
n. 374 del 21 novembre 1991, sia ammesso  al  godimento  degli  altri
fondamentali ed inalienabili diritti ordinamentali  e  della  persona
riconosciuti  al  magistrato  ordinario  di  carriera  (potesta'   di
autogoverno, ossia elettorato attivo e  passivo  per  la  nomina  dei
componenti del C.S.M.; tutela previdenziale; tutela della  maternita'
e della famiglia;  tutela  del  diritto  alla  salute;  assicurazione
obbligatoria per gli infortuni sul lavoro; etc.), pur trattandosi  di
diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione,  senza  distinzione
alcuna fra giudici onorari e di carriera. 
    Non ci si allontana dal vero laddove si affermi che l'unica reale
differenza fra la  figura  del  giudice  di  pace  e  quella  del  di
magistrato di carriera stia nella carenza,  in  capo  al  giudice  di
pace, dei predetti diritti, ossia di posizioni giuridiche  soggettive
attive che mai, nel nostro ordinamento giuridico, sono state prese in
considerazione  al  fine  di  qualificare  la  natura  giuridica  del
rapporto a fini giuslavoristici  (i  parametri  per  l'individuazione
della  natura  subordinata  del  rapporto  sono  rappresentati,   per
consolidata   giurisprudenza   di   legittimita'   e    di    merito,
costituzionale ed amministrativa, dai doveri, dagli  obblighi,  dalle
responsabilita'   disciplinari,   dalla   condizione   oggettiva   di
sudditanza o  di  scarso  potere  contrattuale,  ossia  da  qualsiasi
elemento di fatto o diritto che sia  rilevatore  dell'assoggettamento
del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare  del
datore di lavoro o degli altri soggetti od organi a cio' preposti). 
    Non si puo' non ragionevolmente rilevare, nella sostanza, che  la
natura onoraria del rapporto del giudice di pace,  lungi  dall'essere
caratterizzata  dai  requisiti  tipici  della   figura   in   oggetto
(peraltro, a tutti i funzionari onorari  e'  riconosciuta  la  tutela
previdenziale ed assistenziale, ivi compresi  i  giudici  onorari  di
Tribunale ed i vice procuratori onorari, ossia organi giurisdizionali
e requirenti con  mere  funzioni  di  supplenza  il  cui  reddito  e'
assimilato a quello  di  Avvocato)  costituisca  solo  il  "pretesto"
adottato dal Legislatore ordinario per  denegare  i  piu'  elementari
diritti costituzionali giuslavoristici  e  le  fondamentali  garanzie
ordinamentali di imparzialita' ed indipendenza. 
    Il principio di ragionevolezza sul quale si  fonda  l'articolo  3
della Costituzione impone, con specifica comparazione alla figura del
magistrato di carriera, che il rapporto di servizio  del  giudice  di
pace, magistrato ordinario a  tempo  pieno  (reperibilita'  costante)
assoggettato agli stessi identici doveri del magistrato di carriera e
connessi poteri direttivi e disciplinari, sia  rimesso,  quanto  alle
controversie che involgono la sua condizione giuridica lavorativa,  a
partire dalla corresponsione delle indennita' previste  dall'articolo
11 della legge n. 374 del  21  novembre  1991,  alla  competenza  del
Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, in presenza di tutti  i
requisiti   di   subordinazione   o    parasubordinazione    previsti
dall'articolo 409 c.p.c., tenuto conto che la giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo sulle controversie di lavoro che involgono
i magistrati  di  carriera,  lungi  dal  trovare  il  suo  fondamento
giuridico nell'articolo 103, comma  1,  della  Costituzione,  con  il
quale, al contrario, collide  insanabilmente  alla  luce  della  piu'
recente giurisprudenza costituzionale (assenza,  di  norma,  di  atti
autoritativi  della  p.a.  nelle  controversie   di   lavoro),   trae
giustificazione esclusivamente dal disposto inviolabile dell'articolo
111, comma 2, della Costituzione, al fine di garantire  la  terzieta'
del  giudice  nelle   controversie   che   attengono   ad   interessi
patrimoniali  del  magistrato  di  carriera   direttamente   connessi
all'esercizio della giurisdizione (potenziale interesse di  qualsiasi
magistrato ordinario alla risoluzione favorevole di una  controversia
sullo status giuridico di un collega). 
    Non ponendosi tale esigenza anche nei confronti  del  giudice  di
pace, il quale,  al  contrario,  sotto  il  profilo  delle  posizioni
giuridiche  soggettive  attive,  non  presenta,   come   sopra   gia'
ampiamente  evidenziato,  alcuna  comunanza  di  interessi   con   il
magistrato  di  carriera,  l'unica  soluzione   compatibile   con   i
richiamati precetti costituzionali, senza che residui margine  alcuno
di  discrezionalita'  in  capo  al  Legislatore,   e'   rappresentata
dall'attribuzione delle controversie di lavoro del  giudice  di  pace
alla competenza del Tribunale in funzione di giudice del lavoro. 
    In particolare, con specifico riferimento alle controversie sulle
indennita' del giudice di pace,  l'articolo  103  della  Costituzione
preclude  la  loro  devoluzione  alla   giurisdizione   del   giudice
amministrativo,  in  assenza,  di  regola,  di  atti  unilaterali  ed
autoritativi della p.a. (come, per l'appunto, nel caso di specie, ove
il  giudice  di  pace  ricorrente  lamenta  l'omessa   corresponsione
dell'indennita'  forfettaria  mensile  nella  sua  interezza,   senza
menzione alcuna ad atti o  provvedimenti  contrari  della  p.a.);  le
indennita' del giudice di pace, infatti,  sono  predeterminate  dalla
legge ed ingenerano posizioni giuridiche di diritto soggettivo pieno,
senza alcun margine di discrezionalita' in capo alla p.a., la  quale,
nella veste di Ente debitore, nel  riconoscere  o  disconoscere  tali
posizioni  giuridiche  soggettive  non   esercita   alcuna   potesta'
pubblicistica  (natura  paritetica  e  tipicamente  civilistica   dei
rapporti giuridici nascenti dall'applicazione dell'articolo 11  della
legge n. 374 del 21 novembre 1991). 
    In tal senso, la mancata previsione nell'articolo 11 della  legge
n. 374 del 21 novembre 1991,  come  univocamente  interpretato  dalla
Suprema  Corte  di  Cassazione,  della  competenza   funzionale   del
Tribunale, in funzione  di  Giudice  del  Lavoro,  si  appalesa  come
un'anomala  ed  irragionevole  deviazione   dal   sistema   ordinario
giuslavoristico, che ricomprende nell'ambito  delle  controversie  di
lavoro tutti i rapporti giuridici ad esso assimilabili, a prescindere
dalla  loro  denominazione  convenzionale   o   legislativa,   tenuto
esclusivamente conto  della  natura  sostanziale  del  rapporto,  con
particolare riferimento all'assoggettamento del lavoratore,  anche  a
tempo determinato, parziale o stagionale, persino se  in  prova  o  a
finalita' formative, al potere direttivo/organizzativo ed  al  potere
disciplinare del datore di lavoro o degli altri organi comunque a lui
preposti. 
    La devoluzione della competenza sulle controversie in oggetto  al
Tribunale  in  funzione  di   Giudice   del   Lavoro   non   comporta
necessariamente, peraltro, la preliminare ricomprensione del rapporto
di servizio del giudice di pace nell'ambito del rapporto di  pubblico
impiego, sia per l'esplicita previsione normativa di onorarieta'  del
rapporto (pur nella sua  assai  dubbia  effettivita'  e  legittimita'
costituzionalita'), sia per  l'assenza  di  una  formale  investitura
(anch'essa,  poi,  sostanzialmente  dubbia,  essendo  la  nomina  del
giudice di pace assoggettata ad un concorso pubblico, ad  un  periodo
obbligatorio di tirocinio, alla deliberazione positiva del  Consiglio
Superiore della Magistratura, su parere del Consiglio Giudiziario, ed
all'emissione del formale atto di nomina da parte del Ministro  della
Giustizia, in maniera non dissimile dalla nomina  del  magistrato  di
carriera). 
    La Corte costituzionale, gia' con sentenza n. 121  del  29  marzo
1993, ha avuto modo di affermare la configurabilita' di  un  rapporto
di subordinazione o parasubordinazione con  un'Amministrazione  dello
Stato anche al di fuori del rapporto di pubblico impiego: "Ne' e'  di
ostacolo la norma contenuta nell'art. 12, secondo cui "Le prestazioni
rese in applicazione della medesima legge non fanno sorgere, in  ogni
caso, rapporto di pubblico impiego". Con tale  formula,  infatti,  il
legislatore ha inteso escludere non gia' la  natura  subordinata  dei
rapporti di lavoro in questione, ma solo l'applicabilita' ai medesimi
delle particolari norme sostanziali che disciplinano il  rapporto  di
pubblico impiego: cio' e' reso evidente, del resto, dal fatto che  la
norma si riferisce anche ai contratti a termine  rinnovabili,  per  i
quali la qualificazione come rapporti di lavoro subordinato non  puo'
essere messa in discussione. Ed  e'  da  precisare  che  non  sarebbe
comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica
di rapporti di  lavoro  subordinato  a  rapporti  che  oggettivamente
abbiano tale natura, ove  da  cio'  derivi  l'inapplicabilita'  delle
norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare  attuazione  ai
principi, alle garanzie e ai diritti  dettati  dalla  Costituzione  a
tutela del lavoro subordinato". 
    Non dissimile e' la questione oggetto del presente  sindacato  di
legittimita' costituzionale: il legislatore del 1991, a  mezzo  della
dicitura  "onorario",  ha  solo  inteso  "negare  la   qualificazione
giuridica  di  rapporti  di  lavoro  subordinato   a   rapporti   che
oggettivamente  abbiano  tale  natura",  allo  scopo  di  determinare
"l'inapplicabilita'     delle     norme     inderogabili     previste
dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e  ai
diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato". 
    Fra le menzionate  norme  inderogabili  non  possono  non  essere
ricomprese  le  disposizioni  speciali  di  favore,   sostanziali   e
processuali, previste nel rito di lavoro, a  garanzia  di  una  piena
tutela dei diritti giuslavoristici (esenzione da tributi e contributo
unificato; principio di semplificazione ed accelerazione  degli  atti
processuali; debenza della rivalutazione monetaria,  unitamente  agli
interessi legali; immediata esecutivita'  del  dispositivo  letto  in
udienza, etc.). 
2. Violazione degli articoli 4, comma 1, e 35, comma 1, 97, comma 3 e
106, commi l e 2, della Costituzione. 
    La Costituzione tutela ogni forma di lavoro, a prescindere  dalla
sua durata (tutela del lavoro a tempo determinato, anche stagionale o
in prova)  e  dalla  sua  esclusivita'  o  meno  (tutela  del  lavoro
part-time). 
    Nel caso di specie, peraltro, almeno per un  quadriennio  (e  per
ulteriori  due  quadrienni,  nel  caso  di  valutazione  positiva  di
idoneita' del C.S.M. in sede di conferma), il giudice di pace  svolge
l'attivita' giudiziaria a tempo pieno ed in via continuativa (obbligo
di  Osservanza  delle  tabelle  dell'Ufficio,  che   coprono,   senza
soluzione  di  continuita',  un  intero  triennio  di  attivita'  del
giudice; reperibilita' costante; obbligo di produttivita' commisurato
al carico di lavoro  dell'Ufficio,  che  notoriamente  ha  raggiunto,
sulla base delle stime ufficiali del Ministero della  Giustizia,  una
consistenza comparabile a quella dei Tribunali). 
    Aggiungasi che la conferma,  sostanziandosi  in  un  giudizio  di
idoneita' di merito, laddove determini una vera e  propria  novazione
dell'incarico (discontinuita' del rapporto,  come  pur  affermato  in
numerosi atti del C.S.M. e sentenze della  Cassazione),  integrerebbe
un nuovo concorso del giudice, non piu' per titoli, bensi' per  esame
(articolo 7, comma  2-bis,  legge  n.  374  del  21  novembre  1991),
perdendo  i  presunti  connotati   meramente   politico-discrezionali
evidenziati   dalla   cassazione   per    assumere    il    carattere
tecnico-amministrativo  che,  sempre  alla  luce   della   richiamata
giurisprudenza  (Cass.  ss.uu.  n.   11272/1998),   caratterizza   le
procedure concorsuali in senso proprio ("giudizio  di  idoneita'  del
giudice di pace a svolgere le funzioni per il successivo  quadriennio
(omissis) sulla base dell'esame  a  campione  delle  sentenze  e  dei
verbali redatti  dal  giudice  onorario  oltre  che  della  quantita'
statistica del lavoro svolto"). 
    Tutti i giudici di pace attualmente in servizio  hanno  superato,
con esito positivo, da uno a tre  giudizi  di  idoneita'  emessi  dal
C.S.M. ai sensi dell'articolo 7, comma 2-bis, legge  n.  374  del  21
novembre 1991, tenuto conto che  a  partire  dall'entrata  in  vigore
della legge n. 271 del 12 novembre 2004, di conversione  del  decreto
legge n. 241 del 14 settembre 2004, tutte  le  procedure  concorsuali
sono state sospese (articolo 10-ter, comma 2, legge  n.  374  del  21
novembre 1991, come  modificato  dall'articolo  1,  comma  6-ter  del
richiamato decreto legge), con relativa inesistenza di nuove nomine a
giudice di pace negli ultimi sette anni e mezzo. 
    Sotto tale profilo, ma gia' in un momento anteriore, in  sede  di
prima nomina, come gia' accennato al punto 1, il rapporto di servizio
del giudice di pace presenta tutti i requisiti formali e  sostanziali
per il riconoscimento dell'esistenza di un vero e proprio rapporto di
pubblico  impiego,  alla  luce  della  stessa  giurisprudenza   della
Cassazione, ogni qual volta essa si  e'  pronunciata  nell'ambito  di
rapporti instaurati dalla p.a. con soggetti  ad  essa  estranei,  non
espressamente qualificati  dalla  legge  come  rapporti  di  servizio
"onorario"  (ad  ulteriore  riprova  della  pregiudiziale  di  natura
esclusivamente formale posta dalla cassazione al  riconoscimento  dei
diritti fondamentali giuslavoristici in capo al giudice di pace). 
    Ne', in materia di pubblico impiego, gli articoli 97 e 106  della
Costituzione, nel prevedere, come modalita' alternativa al  concorso,
l'accesso alla p.a. ed alla magistratura ordinaria secondo  modalita'
diverse prestabilite dalla  legge,  discriminano  fra  funzionario  e
funzionario, sia con riferimento alla costituzione  del  rapporto  di
pubblico impiego, sia con riferimento alla  tutela  dei  fondamentali
diritti giuslavoristici. 
    "Sussiste  la  giurisdizione  del   giudice   amministrativo   in
relazione   alle   controversie,   recanti   pretese   di   carattere
patrimoniale e previdenziale, promosse da un soggetto, estraneo  alla
p.a., nominato "esperto" con D.P.C.M (ai sensi degli artt.  30  e  31
della legge n.  400  del  1988),  poiche'  tale  rapporto,  sorto  ed
esaurito prima del 30 giugno 1998,  e'  qualificabile  come  pubblico
impiego, essendovi un continuativo e non occasionale inserimento  del
lavoratore   in   regime   di   subordinazione    nell'organizzazione
pubblicistica della p.a. (Presidenza del Consiglio dei  Ministri),  a
nulla  rilevando  l'apposizione  di   termini   alla   durata   della
prestazione ovvero  le  modalita'  onnicomprensive  pattuite  per  il
compenso". "Ne' per andare  in  contrario  avviso  e  riconoscere  la
giurisdizione del giudice ordinario vale addurre la temporaneita' del
rapporto lavorativo del Tavani e le modalita' del  compenso  pattuito
tra le parti, avendo queste Sezioni Unite piu'  volte  affermato  che
non ostano alla configurazione del rapporto di pubblico impiego ne'la
mancanza dell'atto formale di nomina, ne'la mancanza  di  stabilita',
qualora risulti il continuativo e  non  occasionale  inserimento  del
lavoratore,  in   regime   di   subordinazione,   nell'organizzazione
pubblicistica dell'ente, a nulla rilevando l'apposizione  di  termini
alla durata della prestazione lavorativa ovvero le modalita' pattuite
per il compenso (Cass., sez. Un. , 21  giugno  21995  n.  7011,  cui.
afide Cass., sez. Un. , 16 novembre 1998 n. 11548 ed  in  epoca  piu'
recente, Cass., sez. Un. , 18 marzo 2004 n.  5536).  Al  riguardo  va
sottolineato come in una fattispecie - relativa al conferimento dello
incarico di "project manager" da parte di  un  ente  pubblico  -  con
profili di analogia con quella in esame, e' stata  negata  da  queste
Sezioni Unite la configurabilita' di un contratto di lavoro  autonomo
relativo ad un'attivita' di collaborazione esterna, riconducibile  ad
un'ipotesi di "parasubordinazione", ma e'  stato  invece  riaffermato
che  il  conferimento  dell'incarico  comportava  l'inserimento,  con
carattere di continuita', nella struttura dell'ente e  l'attribuzione
della relativa  responsabilita',  correlata  anche  allo  svolgimento
delle funzioni pubbliche delegate, il che risultava  sufficiente  per
riconoscere la sussistenza di rapporto di lavoro alle  dipendenze  di
una pubblica amministrazione (Cass., sez. Un. , 18 marzo 2004 n. 5536
cit)". (Massima ed  estratto  di  motivazione  della  sentenza  della
cassazione a sezioni unite n. 19509 del 16 luglio 2008). 
    Nel caso di specie, la cassazione ha riconosciuto la qualita'  di
pubblico  impiegato  ad  un  altissimo   funzionario   dello   Stato,
direttamente nominato, con scelta politico-discrezionale, dal  Potere
Esecutivo (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), ossia,
di fatto, ad un funzionario onorario tipico (vedasi  capitolo  1.1.),
pur in assenza di un'espressa qualifica legislativa. 
    Risulta, in conclusione, davvero arduo, e proprio alla luce della
consolidata giurisprudenza delle sezioni unite  della  Suprema  Corte
di' Cassazione, non riconoscere nella figura del giudice di  pace  la
condizione di un  vero  e  proprio  pubblico  impiegato,  laddove  si
pervenga al superamento  del  corollario  della  cassazione  medesima
(vedasi pronunce richiamate in premessa), apparentemente contrario ai
richiamati  parametri  costituzionali,  alla  luce   del   quale   e'
sufficiente la mera qualificazione formale di funzionario  "onorario"
operata dalla legge a pregiudicare  il  riconoscimento  di  qualsiasi
diritto giuslavoristico al giudice di pace, senza che  al  rimettente
sia lasciato alcun margine di  apprezzamento,  neanche  in  punto  di
fatto (impossibilita' di interpretare la legge,  come  cristallizzata
dalla cassazione in materia di funzionario "onorario" in generale,  e
di giudice  di  pace  in  particolare,  in  senso  costituzionalmente
orientato). 
    Resta, quindi, anche sotto i  richiamati  profili  costituzionali
(articoli 4, 35, 97 e 106 della Costituzione),  il  grave  dubbio  di
legittimita' costituzionale di una norma  di  legge  (l'articolo  11,
comma 1, legge n.  374  del  21  novembre  1991),  come  univocamente
interpretata dalla Cassazione, che alla luce di una mera  definizione
formale ("onorario"), pur  in  costanza  di  un  rapporto  di  lavoro
subordinato o parasubordinato, sia in punto  di  diritto  (vedasi  le
gia' richiamate fonti normative, di primo e secondo  grado),  sia  in
punto di fatto, comporti la negazione dei diritti fondamentali  della
persona, ivi comprese  le  garanzie  processuali  e  sostanziali  che
caratterizzano il rito del lavoro. 
3. Violazione dell'articolo 25, comma 1, della Costituzione. 
    In  materia  di  controversie  relative  a  posizioni  giuridiche
soggettive nascenti da  rapporti  giuridici  o  di  fatto  di  lavoro
subordinato o parasubordinato il giudice naturale  precostituito  per
legge e' individuato  nel  Tribunale,  in  funzione  di  Giudice  del
Lavoro, mediante una disciplina processuale (ma anche  sostanziale  -
vedasi  articolo  429,  comma  3,  c.p.c.)  di  favore,   come   gia'
ripetutamente evidenziato. 
    Ne discende, in assenza di ragionevoli motivi che legittimino una
diversa regolamentazione  del  rapporto  (vedasi  punto  1),  che  il
Giudice del Lavoro integra, ad  ogni  effetto,  il  giudice  naturale
precostituito per legge anche nell'ambito  delle  controversie  sulle
prestazioni economiche dovute al giudice di pace, quali corrispettivi
per le attivita' compiute,  non  potendo  la  diversa  qualificazione
legislativa  del  compenso,   in   costanza   di   un   rapporto   di
subordinazione  o  parasubordinazione,  comportare  l'esclusione  del
vincolo di sinallagmaticita' fra le prestazioni  economiche  medesime
ed il lavoro del giudice di pace,  vincolo,  peraltro,  ulteriormente
rafforzato dal diretto  collegamento,  quanto  a  buona  parte  delle
indennita' previste dall'articolo  11  della  legge  n.  374  del  21
novembre  1991,  all'effettiva  produttivita'  e   laboriosita'   del
giudice.